Deve essere enfatizzato che Terezin servì ad intensificare, non ostruire, le nostre attività musicali, che non sedemmo di fronte alle acque di Babilonia a piangere e che i nostri sforzi artistici furono commensurati con il nostro desiderio di vivere.
Der Kaiser von Atlantis,
di Viktor Ullmann (1898-1944)
libretto di Peter Kien
Leggenda in quattro scene
Prima: Amsterdam, Bellevue Theater,
16 dicembre 1975
Personaggi:
Kaiser Uberall (Bar)
la Morte (B/Bar)
Harlequin (T)
un tamburino (Ms)
un soldato (T)
Bubikopf, una ragazza (S)
la voce dell’altoparlante (Bar)
Nuova Versione Ritmica In Italiano a cura di Valerio Valoriani
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Il Kaiser di Atlantide... con in scena:
Kaiser Overall di Atlantide, in persona; nessuno, da anni, lo ha più visto, da quando nel palazzo più grande si è da solo rinserrato per poter regnare al meglio.
TAMBURO, una figura un po’ vacua.... come la Radio
ALTOPARLANTE, che non si vede.... ma si sente.
Un SOLDATO e una RAGAZZA
la MORTE che sembra un vecchio soldato in congedo
e HARLEKIN, che tra le lacrime riesce a ridere.
Questa è la vita.
Il primo quadro si svolge in un luogo qualsiasi. MORTE e HARLEKIN stanno seduti come due pensionati, la vita che non più ride né muore, che più non sa piangere in un mondo in cui i vivi hanno scordato come gioire e i morti come lasciarsi morire.
La Morte inesorabilmente offesa da tale confusione, dall’eccessivo andirivieni e dalla meccanizzazione della vita moderna, spezza la sua sciabola e decide di dare all’umanità una bella lezione. Da ora in poi nessuno sarà più in grado di morire
Gli abitanti sono morti e i cadaveri sono stati consegnati agli stabilimenti di Riciclaggio....
...
Cosa accadrà
Non lo so.
Non durerà molto a lungo,
Inizio ad aver paura,
E a vedere sulla carta da parati
Un viso che piange.
Karl Kraus
Agli occhi di un attento lettore di questo ‘900 che ci siamo appena lasciati alle spalle, certamente pare incredibile ed allo stesso tempo maturo di interesse, il proliferare di produzioni artistiche di grande valore proprio nel momento più drammatico che abbia conosciuto la storia degli ultimi cento anni: la Seconda Guerra Mondiale. Questo fenomeno che mette in relazione le più terribili atrocità con le più sublimi partiture musicali novecentesche, ci pone, proprio in un contesto storico-artistico come il nostro di “svuotamento di senso”, di fronte all’arte come “sistema di resistenza dell’uomo”, come affermazione suprema del valore dell’individuo, della sua umanità e sensibilità a dispetto di qualsiasi volontà di annientamento.
Viktor Ullmann si inserisce a pieno in questo quadro e, non solo, determina una ricerca “musicale” ed in senso più generale “artistica”, che va dagli anni ’20 agli anni ’40, che segna i primi decenni del secolo con le più interessanti avanguardie storiche, passando attraverso i fili spinati o i forni dei campi di concentramento.
Der Kaiser von Atlantis, l’opera più importante di Ullmann, rappresenta certamente l’espressione più alta dell’elaborazione artistico-musicale che vide protagonisti compositori e musicisti collaboratori di Janacek, Schönberg, Zemlinsky, i quali si trovarono coinvolti nel terribile inferno che furono Terezin, Birkenau, Auschwitz…
Terezin, ovvero “il Ghetto degli artisti” o anche “il Ghetto Paradiso”, il luogo della morte, ma anche territorio comune per Pavel Haas, Frydman, Ullmann ed altri… questo ci rimanda immediatamente al “Ghetto di Varsavia”; l’uno, il primo, nato per rinchiudervi artisti, bambini, il secondo (i cui muri furono eretti in una sola notte) creato per accogliere, come in una trappola per topi una folla indistinta di ebrei prevenienti da tutta la Polonia, inconsapevoli vittime di quella “soluzione finale” che avrebbe spazzato via ogni traccia delle loro vite.
Ma anche in questo terribile scenario che fu Varsavia, a paragone del quale la Terezin iniziale, prima della costruzione del forno, appare davvero come un paradiso, quelle creature, chiuse in un ghetto, costruirono un loro “modus vivendi” di cui il teatro e la musica rappresentarono l’ossatura fondamentale.
Il rapporto tra le vicende di Varsavia e Terezin è per me fondamentale, per capire meglio come inquadrare tutto ciò che è produzione artistica durante l’olocausto, come poter ricondurre ad una stessa origine i concetti di “distruzione” e “creazione” quali facce della stessa medaglia.
Der Kaiser von Atlantis offre sicuramente una nuova chiave di lettura degli eventi a cui faccio riferimento o comunque si stacca da una visione passiva e pietistica della sofferenza degli ebrei o più in generale dell’umanità ferita.
L’elemento “fiaba”, “onirico” ci racconta una farsa, quella del sogno, che tende alla vita, che vuole ancora credere in un mondo migliore; certamente la presenza di 15.000 bambini a Terezin (di cui sopravvissero solo 93) dava a quegli uomini di cultura un “obbligo alla vita”, a pensare una via d’uscita che l’arte con la sua forza evocatrice poteva e può certo consegnare all’uomo.
Ma l'elemento allegorico presente in Der Kaiser von Atlantis è presente anche nell'operina per bambini Brundibàr, composta da Hans Krása nei tragici anni di internamento a Terezin.
Essa fu rappresentata nel ghetto più di cinquanta volte, una di queste dinanzi alla Commissione Internazionale della Croce Rossa giunta per ispezionare la situazione dei deportati. In quell'occasione, per dimostrare che Terezin era "un luogo di riposo per anziani", i nazisti deportarono ad Auschwitz 2780 ebrei giovani.
L'opera fu poi utilizzata per realizzare un film propagandistico del regime nazista dal titolo "Il Führer dona una città agli ebrei". Finite le riprese tutti i membri dell'orchestra, i collaboratori e i bambini che vi avevano partecipato furono deportati ad Auschwitz.
Colpisce l’entità dell’interesse internazionale intorno a Terezin, la Terezin Chamber Music Foundation di Boston (che conserva i diari, le lettere, i disegni, i manoscritti musicali degli artisti presenti), la Philadelphia Orchestra o le iniziative del Centro Nazionale per la Diffusione della Musica Ceca nonché le scelte di importanti direttori e teatri d’Europa intorno alle Voci dal Silenzio e il film Terezin Diary di Dan Weissman e Zuzana Justman (centrato sul diario di Helga Kinsky e sui paradossi della vita dei bambini del ghetto modello), sottolineano quanto Theresienstadt fu non solo l’anticamera dei ben più famosi Auschwitz, ma anche laboratorio dove si creava e si eseguiva.
Parlo di laboratorio proprio alla luce di quelle relazioni così dominanti tra arte figurativa, letteratura e musica (colta e popolare) che contraddistinguono le opere di Karen Ancerl, Karel Froehlich, Pavel Haas, Gideon Klein, Hans Krása, Edith Kraus, Egon Ledec; Ullmann con la sua opera ben raccoglie tutto questo dandogli forma definita.
Di fronte ad un “sentire” così drammatico l’uomo-artista è spinto a cercare nuove forme che meglio parlino del dolore, dell’umiliazione; i doni artistici di Terezin sono gli estremi tentativi per apporre alle ragioni del male, quelle del bene, sono quell’estremo urlo di Munch che ben dà il senso del nostro atterrito stupore di fronte a quanto di violento ancora la nostra contemporaneità ci consegna nel nuovo millennio.
Mettere in scena Der Kaiser von Atlantis (ed eventualmente Brundibár) significa creare una serata in cui la partitura musicale sia supportata da una serie di apporti testuali che possano contestualizzare tale creazione, significa far lavorare un gruppo di cantanti e perché no, attori, su contenuti e forme del novecento artistico-musicale.
Un senso quindi mi guida nell’allestire Der Kaiser von Atlantis: mantenere viva una memoria storica che sia portatrice di contenuti di alto valore artistico e umano per la crescita di chi, come me, si trova ad essere protagonista (più o meno consapevole) dell’attuale passaggio epocale.
Castiglioncello, 20 aprile 2001
Alessio Pizzec
Per raccontare la storia del Ghetto di Varsavia, lo storico americano Philip Friedman è ricorso esclusivamente a testimonianze dirette: ha interrogato con cura i pochi superstiti della comunità martire e ha utilizzato i documenti – giornali, lettere, resoconti – che sono stati ritrovati nel 1946 e nel 1950 sotterrati a Varsavia. La cronaca sconvolgente che ha steso, è tratta interamente da questi documenti.
16 ottobre 1940
I nazisti cominciarono a radunare tutti gli Ebrei nel Ghetto di Varsavia.
15 novembre 1940
Gli Ebrei cercarono di uscire attraverso altre vie, ma sempre e ovunque si trovarono di fronte al filo spinato o ad alti muri. Tutte le uscite erano chiuse.
Il quartiere era completamente isolato, circondato, e qualsiasi forma di fuga diventava ormai impossibile.
Finché durò l’esistenza del Ghetto, la vita culturale proseguì clandestinamente. Una stamperia riuscì a mettere in circolazione giornali, riviste e numerosi libri. Bacia Temkin-Berman fondò una biblioteca per l’infanzia. Bluma Fuswerk, aiutata da parecchi assistenti, organizzò manifestazioni teatrali. Infine furono istituiti corsi di lingua ebraica e di letteratura, tenuti da professori competenti.
C’era anche un’orchestra sinfonica che, diretta dall’eminente maestro Szymon Pullman, dava magnifici concerti. La straordinaria cantante Marysia Ajzensztat, chiamata “l’usignolo del Ghetto”, Pullman, il giovane violinista Ludwik Holoman, il direttore d’orchestra Marian Neuteich, e la maggior parte degli altri musicisti, trovarono la morte nei campi di sterminio. J. Fajwiszys, che dirigeva l’ammirevole “coro di voci bianche”, fu giustiziato nel Campo Poniatow, mentre molti altri capi coristi morirono a Treblinka. Quanto ai pittori e agli scultori ebraici, come Felix Frydman, essi organizzarono numerose esposizioni.
Un po’ dappertutto si formarono compagnie di dilettanti, che davano spettacoli di ogni genere nelle sale di riunione o nei refettori popolari.
La compagnia più importante venne creata in Via Walowa, vicino a Via Franciszkanska.
Il palcoscenico, nascosto da una tenda, era stato allestito in una mansarda, e gli attori erano illuminati da lampade a petrolio. Il pubblico prendeva posto su panche allineate nella “sala”.
Alcune guide avevano una doppia mansione: indicare la strada agli spettatori e fare attenzione che nessun ospite indesiderato – soprattutto tedesco – entrasse nel teatro.
L’orfanotrofio di Janusz Korczak fu usato per lo stesso scopo. Gli orfani, con l’aiuto dello stesso Korczak, componevano testi pieni di effervescente umorismo, destinati al teatro delle marionette e accompagnati da musiche originali.
Quando il Ghetto venne completamente isolato, nel quartiere ebraico vivevano non meno di 456 artisti.
Giugno 1941
Le deportazioni verso i campi di sterminio si fecero sempre più numerose. Cominciava a essere attuata la “soluzione finale” che non risparmiava neppure i bambini. L’orfanotrofio dovette essere evacuato.
Il direttore, dottor Korczak, protetto dallo Judenrat, fu autorizzato a restare – i medici non vennero deportati, all’inizio, perché ritenuti indispensabili – ma rifiutò di abbandonare i “suoi” bambini e pretese di accompagnarli. Davanti all’orfanotrofio, in Via Sliska, si formò una lunga fila di piccoli esseri sparuti, magri, stravolti. Alcuni stringevano sotto il braccio i libri di testo e le cartelle, loro unico bagaglio. Non piangevano. Lentamente, discesero la gradinata, come il solito in ordine perfetto, con gli occhi fissi sul “dottore”. Si sentivano tranquillizzati, quasi rassicurati, dalla sua presenza.
Korczak si occupò di ogni bambino con dolce autorità, abbottonando un cappotto, legando un pacchetto, aggiustando un cappellino, asciugando una gota emaciata.
Poi, la processione si mise in marcia per uno di quei viaggi dai quali, come intuiva ognuno, non si ritornava più. Tante giovani vite, tra le quali forse si nascondevano talenti, se non addirittura geni, chi lo sa? Tranquilli e disciplinati, si diressero verso una fine atroce e prematura. Non apparivano inquieti, ma senza dubbio conoscevano il loro destino. Come spiegare, altrimenti, l’espressione di consapevole tristezza che avevano sul viso? Ma avanzavano, buoni e seri, a file serrate, guidati da Janusz Korczak. La piccola colonna fu presa in forza da una SS che, come la maggior parte dei Tedeschi, amava i bambini, anche quelli che avrebbe dovuto assassinare di lì a poco. L’SS parve attratta soprattutto da un bimbo di dodici anni, che stringeva un violino sotto il braccio, e gli ordinò di mettersi in testa alla colonna e di suonare. Quando il gruppo passò da Via Gesia, tutti gli orfani cantavano e il piccolo musicista li accompagnava col suo strumento.
Non restava un solo metro quadrato
di spazio vuoto.
Accanto a noi vacillavano
specie di larve umane.
I loro visi scavati, gli occhi stralunati,
brucianti di febbre e di fame…
Theresienstadt esistette con un doppio scopo. Fu un campo di concentramento che servì come punto di transito per i campi di morte nazisti.
Nel novembre 1941, un trasporto di Ebrei fu mandato per trasformare la piccola città guarnigione di Terezin, Cecoslovacchia, nel campo di concentramento di Theresienstadt. Fino a maggio 1945 i nazisti hanno trasportato 140.000 persone al campo. Qui furono imprigionati alcuni artisti, musicisti, compositori e scrittori tra i più dotati d’Europa che, a dispetto delle condizioni di vita inumane, sostennero un’attiva comunità culturale. Sebbene il materiale artistico, la carta, gli strumenti musicali e gli spettacoli stessi fossero di contrabbando nelle baracche, gli artisti ed i compositori lottarono per creare arte e musica.
Ironicamente, proprio queste attività furono cooptate dai nazisti ed usate come parte di un piano per ingannare la comunità internazionale e gli Ebrei che vivevano sotto l’occupazione tedesca. Come si è detto, furono messi in scena degli spettacoli per una visita della Croce Rossa Internazionale; il campo fu trasformato in una cittadina simil–Potemkin (con giardini, aree gioco e padiglioni musicali all’aperto) per un film di propaganda intitolato “Hitler regala agli Ebrei una città”, nel quale i reclusi apparivano in un quadro vivente allusivo di una colonia di artisti. Tutto fu disegnato per dare l’impressione che Theresienstadt fosse un “Ghetto Paradiso” per gli Ebrei. Ma delle 140.000 persone trasportate in questo “Ghetto Paradiso”, 33.000 morirono di fame, mancanza di cure mediche, malattie e torture. Delle 87.000 persone trasportate da Theresienstadt ai campi di morte nazisti, il cinque per cento sopravvissero. Dei 15.000 bambini che passarono attraverso Theresienstadt, soltanto 93 sopravvissero.
Alcuni dei compositori più dotati d’Europa furono mandati a Theresienstadt; i compositori Pavel Haas, Gideon Klein, Hans Krasa e Viktor Ullmann furono alunni stimati e assistenti dei luminari musicisti Leos Janacek, Alexander Zemlinsky, Arnold Shoenberg e Alois Haba.
Karen Ancerl fu un direttore d’orchestra con la Czechoslovak Radio a Praga e con il Teatro Liberato. Durante la guerra fu imprigionato a Terezin. Dopo la guerra lavorò ancora con la Radio Orchestra, più tardi divenne direttore della Grande Opera del 5 Maggio a Praga e fu nominato, nel 1950, direttore della Filarmonica Ceca.
Karel Fröhlich fu un violinista che studiò a Praga fino al 1940. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu imprigionato a Terezin. Dopo la liberazione divenne maestro di concerto alla Grande Opera del 5 Maggio a Praga.
Pavel Haas fu uno studente di Janacek alla Scuola d’Organo. Haas non imitò la musica di Janacek, ma fu influenzato dal grande nazionalismo di Janacek. La maggior parte della sua musica divenne antifascista e scrisse Suite per Oboe e Piano dopo l’occupazione tedesca della Cecoslovacchia. Incorporò questo tema nella sua musica che scrisse durante il suo internamento nel campo di concentramento di Terezin. Fu deportato ad Auschwitz e morì il 17 ottobre 1944.
Gideon Klein si diplomò pianista alla Master School di Praga nel 1939. Studiò anche composizione con Alois Haba. Durante la guerra fu imprigionato in diversi campi di concentramento tra cui Terezin. Infine fu spedito al campo di concentramento chiamato Fürestengrube dove morì il 27 gennaio 1945.
Hans Krasa fu un compositore che iniziò a scrivere musica quando non aveva ancora dieci anni. Lavorò come insegnante vocale al Teatro Tedesco di Praga prima di diplomarsi all’Accademia Musicale Tedesca di Praga nel 1921. Fu imprigionato a Terezin e fu spedito ad Auschwitz dove morì il 17 ottobre 1944.
Edith Kraus dette il suo primo concerto all’età di undici anni in sostituzione di una violinsta che era indisposta. All’età di quattordici anni divenne la più giovane violinista di Artur Schnable alla Staatliche Hochschule Für Music di Berlino. Iniziò la sua carriera di concerti, ma fu deportata a Terezin nel 1942. Lì eseguì lavori presso i compositori del campo insieme a lavori di Schumann, Brahms, Bach, Mozart, Chopin, Smetana, Scarlatti ed altri. Rimase a Terezin fino alla sua liberazione da parte dei Russi nel maggio 1945. Edith Kraus continuò a suonare il suo vasto repertorio a Israele e all’estero, ma continuamente ritorna alla sua amata musica ceca.
Egon Ledec si diplomò al Conservatorio di Praga e subito entrò nella Filarmonica Ceca come violinista. Fu nominato maestro di concerto associato nel 1927. Fu imprigionato a Terezin e fu spedito ad Auschwitz dove morì il 17 ottobre 1944.
Viktor Ullmann, compositore, pianista, maestro di coro, direttore e critico musicale, fu una delle vittime tra i musicisti Ebrei tedeschi di Praga nella Seconda Guerra Mondiale. Nacque il 1° gennaio 1898 a Tesin, dove iniziò i suoi studi. Dal 1914 Ullmann visse a Vienna. Probabilmente finì anche i suoi studi superiori lì e tra il 1918 e 1919 lavorò per diversi mesi nelle classi di composizione di Schönberg dove sviluppò un linguaggio modernamente accessibile e molto mobile. Dal 1920 fino al 1927 Ullmann fu uno degli assistenti di Alexander Zemlinsky al Nuovo Teatro Tedesco di Praga (adesso l’Opera di Stato di Praga). La collaborazione artistica e la lunga amicizia con Zemlinsky, la stimata direzione della Compagnia dell’Opera Tedesca di Praga, fornirono ad Ullmann una ricchezza di esperienze personali e artistiche per continuare in futuro. Si avvantaggiò di questo nella stagione seguente, 1927–28, quando fu nominato direttore della compagnia di opera a Usti Nad Labem. Insieme ad artisti locali ed altri invitati, Ullmann riuscì a mettere in scena un repertorio veramente impressionante (incluse opere di Richard Strauss, Krenek e altri). Nei tumulti degli anni ’20 e ’30 fu coinvolto nel movimento antroposofico; il suo ritrovato entusiasmo lo portò a Zurigo e più tardi a Stoccarda; ma fu forzato a lasciare la Germania nel 1933 e ritornò a Praga, continuando a percorrere la difficile strada del libero musicista. Lavorò con il dipartimento di musica alla Radio Cecoslovacca, scrisse critiche letterarie e musicali su varie riviste, fu impiegato come critico per il giornale di Praga Bohemia, tenne lezioni a gruppi sull’educazione, dette lezioni private e fu impegnato attivamente nel programma dell’Associazione Cecoslovacca per l’Educazione Musicale. Circa in quel periodo Ullmann fece amicizie insieme al compositore Alois Haba, che conobbe per qualche tempo. Ullmann si iscrisse al dipartimento per la musica del quarto tono di Haba al Conservatorio di Musica di Praga dove studiò per due anni (1935–37). Fino ai primi anni della Seconda Guerra Mondiale, Viktor Ullmann fu la figura emblematica in un circolo di suoi amici Cechi e Tedeschi per i quali tenne spettacoli musicali privati, concerti da camera o feste dove gli ospiti suonavano vari dischi al grammofono. L’8 settembre 1942 Viktor Ullmann fu deportato nel ghetto di Theresienstadt. Perfino nelle condizioni estremamente difficili del campo di concentramento nazista riuscì a mantenere la sua attività artistica e, insieme a Karel Ancerl, Rafael Schachter, Gideon Klein, Hans Krasa e altri, scrisse un glorioso capitolo nella vita culturale del campo. Tra l’altro organizzò concerti per l’Amministrazione delle Attività di Svago controllata dalle SS e scrisse recensioni su giornali improvvisati. Ullmann fu poi deportato al campo di morte di Auschwitz, dove morì in una camera a gas, probabilmente il 15 ottobre 1944.
Solo una parte del lavoro di Viktor Ullmann è stata ritrovata. Prima dello scoppio della guerra scrisse circa quaranta lavori, la maggior parte orchestrali, composizioni da camera e pianoforte e due opere. Anche i suoi lavori letterari e approssimativamente venti frammenti delle sue composizioni quasi finite o complete scritte a Theresienstadt sono stati preservati. Dai tardi anni ’70 la musica di Ullmann ha goduto di un nuovo, vivo interesse. La sua opera da Theresienstadt, scritta su un libretto di Peter Kien e chiamata con un titolo vagamente sovversivo Der Kaiser von Atlantis (L’imperatore di Atlantide) op. 49, è stata messa in scena numerose volte da allora, così come le sonate per pianoforte, i quartetti per corde di Theresienstadt e le canzoni. In temi stilistici, le composizioni iniziali di Ullmann assumono tracce delle influenze di Schönberg; i suoi lavori dagli anni ’30 sono politonali nella struttura formale classica, mentre un’ispirazione Mahleriana si può scorgere nelle sorprendenti canzoni di Ullmann.